CRISI IDRICA CAUSATA DA PERDITE DI RETE. Ma qual è il LIVELLO DI PERDITE FISIOLOGICHE di una rete di distribuzione idropotabile? Un progetto europeo lo indica generalmente pari a circa il 10% dell’acqua immessa in rete.

Ieri, 12 maggio 2022 ho partecipato ad un evento, tenutosi presso l’Università degli Studi “Gabriele d’Annunzio”, in cui i relatori/professori universitari hanno presentato ad ACA (Presidente Brandelli), ERSI (Presidente Morelli), REGIONE ABRUZZO (Assessore Febbo) , approcci gestionali basati su sistemi software valorizzati tramite una società fondata da uno dei relatori. L’utilizzabilità di tali tecniche software presupporrebbe un approccio volto a rinviare interventi di riparazione o sostituzione delle condotte preferendo, invece, la riduzione diffusa delle pressioni fino al punto di allaccio dell’utenza (fino al livello minimo di 0,5 bar di norma previsto come minimo di pressione nelle ora di punta). Utenza che, a causa della bassa pressione al punto di consegna, sarebbe poi costretta a dotarsi (a proprie spese) di un l’autoclave pur non essendone obbligati da contratto di servizio (l’obbligatorietà sarebbe prevista per edifici superiori a 3 piani).

Va precisato che allo stato dell’arte, è riconosciuto che le procedure di gestione delle perdite idriche sono basate su quattro componenti:

controllo attivo delle perdite;

GESTIONE DELLA PRESSIONE;

rapidità e qualità delle riparazioni;

piani di manutenzione.

Le perdite si distinguono in:

Perdite Fisiologiche;

Livello Economico di Perdita;

Perdite Reali Attuali .

Prossimamente a riguardo pubblicherò un articolo di approfondimento. Per il momento mi soffermerò sull’approccio degli accademici e l’impatto sui poveri cittadini.

Il ricorso diffuso alla procedura di GESTIONE DELLA PRESSIONE (con conseguenti utili per la società collegata) si basa sulla tesi secondo cui

  • l’attuale  LIVELLO DI PERDITE sarebbe FISIOLOGICO per una rete con vecchie condotte (come sarebbe quella gestita da ACA);
  • la responsabilità dello stato di deterioramento è della collettività e non dei gestori.

Non credevo alle mie orecchie: secondo uno dei relatori i cittadini ritenuti corresponsabili non avrebbero dovuto, non devono e non dovrebbero in futuro prendersela con i gestori …

In tal sede ho cercato di contestare tali affermazioni non riuscendo neppure motivarle.  Sono stato infatti bloccato dall’adirato relatore che abilmente, sovrapponendosi al mio intervento, ha di fatto impedito al pubblico di ascoltare le mie argomentazioni e comprenderne le ragioni  (chissà perché???).

Al fine di evitare la diffusione di informazioni di dubbia validità normativa e tecnica propongo a riguardo alcune fonti (rinviando ad altro articolo che pubblicherò per approfondimento).

La legge del 5 gennaio 1994, n° 36, detta “Legge Galli”, riguardante “Disposizioni in materia di risorse idriche”, nel comma 2 dell’art. 5, prevede l’adozione di un regolamento per la definizione dei criteri e del metodo in base ai quali valutare le perdite degli acquedotti e delle fognature. Questo regolamento è stato emanato con il Decreto Ministeriale dell’8 gennaio 1997, n° 99, “Regolamento sui criteri e sul metodo in base ai quali valutare le perdite degli acquedotti e delle fognature”.

Pur rappresentando una vera novità sul panorama legislativo nazionale, il dispositivo normativo non indica la percentuale di “PERDITE CONSENTITE”, ovvero i volumi di acqua che il gestore può ritenere economicamente non vantaggiosi da recuperare.

Da una prima ricognizione (invito il lettore a segnalatemi eventuali aggiornamenti) l’unica indicazione normativa italiana a riguardo è quella presente nel DPCM DEL 4 MARZO 1996 in cui sono definite le PERDITE TECNICAMENTE ACCETTABILI  nelle reti di adduzione ed in quelle di distribuzione in “NON PIÙ DEL 20%” (il lettore attendo si ricorderà che secondo il report ISTAT le perdite delle reti idriche ACA sono superiori al 50% con Chieti che supera il 70%)

IL DPCM recita anche che “qualora le perdite in sistemi acquedottistici esistenti siano superiori a detto limite, il PRGA dovrà prevedere interventi di manutenzione entro un ragionevole periodo di tempo e pertanto una diminuzione, a parità di altre condizioni, del fabbisogno stesso” (Chi di voi può affermare e dimostrare che ACA abbia agito nel rispetto di tale disposizione? ).

Illuminati (almeno per il sottoscritto) sono risultate le considerazioni presentate nel report del PROGETTO EUROPEO GAP-UK: “Sostenibilità ambientale per l’uso della risorsa idrica: metodi innovativi per la gestione delle reti degli acquedotti e gestione degli acquiferi” condotto nell’ambito del Programma Interreg IV Italia-Austria che promuove lo sviluppo regionale cofinanziando progetti di cooperazione mediante fondi FESR (Fondo Europeo di Sviluppo Regionale).

Nel report si introduce il concetto di LIVELLO ECONOMICO DI PERDITA e quindi di controllo o gestione delle perdite idriche piuttosto che di eliminazione.

In ogni rete idraulica esistono delle perdite che di fatto non sono eliminabili. Si parla di perdita fisiologica di una rete di distribuzione idropotabile, come di un valore limite di convenienza tecnico-economica di contenimento delle fughe idriche. ESSO È GENERALMENTE ASSUNTO INTORNO AL 10% DELL’ACQUA IMMESSA IN RETE.

Prossimamente sul sito www. cittadiniuniti.it pubblicherò un articolo di approfondimento su tale tema e, se ne ricorreranno le condizioni, organizzeremo con l’aiuto del direttivo e sostenitori del comitato, un evento informativo per fare chiarezze al fine di evitare ASIMMETRIE INFORMATIVE speculative a danno dei cittadini.

Panfilo Marinucci, ingegnere dottore di ricerca

Presidente del Comitato Cittadini Uniti – Delegazione di Spoltore

Sito WEB: www. cittadiniuniti.it

Mail: panfilo.marinucci@cittadiniuniti.it

2 commenti

  • Franco Scarabelli ha detto:

    Da esperto in tecnologie NO-DIG (senza scavi) posso affermare che il problema delle perdite idriche nelle condotte di adduzione e distribuzione può essere gestito e trattato, oltre che con la riduzione delle pressioni che non modifica lo stato fisico di condotte vecchie e corrose, con le tecnologie di ricostruzione interna delle stesse senza l’utilizzo di scavi. Attività queste comunemente utilizzate in parecchie Nazione Europee e nel mondo Anglosassone. In Italia ne fanno uso alcune aziende del Nord e Acquedotto Pugliese che riescono a risolvere i problemi più rilevanti.
    Franco Scarabelli Socio IATT (Italian Association Trenchless Tecnology)

    • admin ha detto:

      Buongiorno Franco e grazie per il tuo commento,
      conosco molto bene le tecnologie NODIG (il lettore può effettuare un primo approfondimento in https://it.wikipedia.org/wiki/No_dig) sia per applicazioni di manutenzione delle reti idriche che per impieghi nella realizzazione di nuove infrastrutture di condotte interrate per vari impieghi. Proprio a Pescara, circa 20 anni fa, ho seguito un seminario formativo per architetti, ingegneri, geometri e ditte di installazione/manutenzione. Nel 2013 ne avevo previsto l’impiego per un progetto che intendevo realizzare a Sulmona in collaborazione con la società IMET Spa che faceva largamente impiego di tecnologie NODIG anche se in ambito TLC.
      Proprio per questo mi sono molto meravigliato di non sentirne mai parlare da parte dei rappresentanti ACA/ERSI e da ultimo dagli illuminati professori universitari.
      Durante l’evento del 12 maggio 2022 i relatori hanno parlato solo in termini di costose sostituzioni delle tubazioni con disagi notevoli per la popolazione (hanno evocato immagini di strade interrotte per lungo tempo scavi costosi e varie problematiche tutte associabili ad interventi a cielo aperto e quindi diverse dal NODIG).
      Sembra che ci sia una volontà comune e comuni interessi a far passare l’idea che oggi sia meglio orientare gli sforzi economici nella gestione delle pressioni in coordinamento con autoclavi (da far installare ai cittadini) piuttosto che attuare strategie low cost di risanamento o duplicazione linee tramite tecnologie consolidate come il NODIG.

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